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La Gaida degli Hoolygani 105


I suoi occhi erano d’un azzurro cupo, profondi come l’acqua degli oceani ed iridiscenti, il suo nasino un po’ impertinente, la sua boccuccia bellissima, con labbra rosse come corallo e dentini d’uno splendore perlaceo, la sua pelle d’una bianchezza così abbagliante da gareggiare colla neve delle immense pianure russe.

Quantunque non potesse contare più di diciassette o diciotto anni, si scorgevano già su quel bel viso le tracce d’una precoce vecchiaia, provocata certamente dalle orgie incessanti a cui la costringevano i membri della gaida.

— Buona sera, atman; buona sera, signori, — disse, facendo un grazioso e civettuolo inchino.

— Siedi, — disse il capo.

— Ho sete.

— Bevi. —

La ragazza prese una tazza colma di champagne e la vuotò d’un fiato.

— Ah! Questo è migliore di quello che mi ha offerto Demitri, — disse. — Quello non sa scegliere le buone bottiglie.

— Taci e rispondi solamente alle mie domande, — disse l’atman, ruvidamente. — Noi non ci siamo qui radunati per ascoltare le tue sciocchezze. —

Olga si sedette, guardando cogli occhi bene aperti e col capo graziosamente piegato su una spalla, con un certo fare provocante, ad uno ad uno gli sconosciuti che stavano attorno alla tavola.

— L’intendente del barone ti aspetta?...

— Dall’una alle due, atman, — rispose la ragazza. — L’avevo avvertito che avevo un impegno.

— Quando vai a trovarlo è sempre ubbriaco?

— Come un bojardo.

— Tu non conosci ancora i bojardi per dare un tale giudizio. Forse un giorno arriverai a pescare anche qualcuno di quelli. Vi è un solo servo nel padiglione, è vero?

— E anche vecchio, atman. È quello che ci porta sempre le bottiglie di champagne.

— Racconta a questi signori, mia brava figliuola, quanto hai potuto strappare all’intendente del barone, durante le sue sbornie.

— Io ho fatto il possibile per farlo chiacchierare sull’affare di cui tu mi hai incaricata, atman, — rispose la ragazza, diventata improvvisamente seria, — ma quel signor Stossel ha la brutta abitudine di