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12 Capitolo secondo


— Sì, anche Romero diceva così tutte le volte che io gli additavo l’astro della sua donna, — rispose la giovanetta con un sospiro, — ma ha veduto poi, se Than-Kiù si era ingannata. Tutte le sere la stella la vedevo sorgere sempre più scintillante, mentre la mia impallidiva man mano che s’avvicinava il giorno della catastrofe. Ah!... —

La giovane chinese si era bruscamente alzata. Curva sul davanzale con le braccia tese, fissava ardentemente una stella che spuntava allora sull’orizzonte, specchiandosi in mare.

— Guardala, Sheu-Kin!... — esclamò.

Poi fece un passo indietro, mentre faceva un gesto di terrore.

— Guarda come questa sera è pallida!... — riprese, con viva emozione. — Non scintilla più come un tempo!... Grande Budda!... Cosa sta per accadere alla donna bianca ed a Romero?... Il sogno sarebbe forse vero?... Sheu-Kin, Pram-Li, io ho paura!... Ho paura!... —

Era ricaduta sulla sedia coprendosi gli occhi con le mani. Il chinese e Pram-Li si scambiarono un lungo sguardo che pareva volesse dire: Ha indovinato il disastro della cannoniera.

Tre colpi bussati alla porta della stanza attigua, strapparono Than-Kiù dai suoi tristi pensieri.

— Vi è qualcuno che viene a recarmi la conferma del mio sogno?... — chiese, rabbrividendo. — Mi sembra di leggere nell’avvenire. —

Pram-Li si era mosso, non senza però essersi assicurato di avere alla cintola il fedele pugnale, mentre Sheu-Kin, che temeva l’improvvisa comparsa di qualche alguazil seguìto dalla polizia, s’affrettava ad abbassare la tenda azzurra, coprendo Than-Kiù.

Poco dopo il malese rientrava seguìto da un uomo di fiero aspetto che a prima vista si sarebbe potuto scambiare per un europeo delle regioni meridionali, se i suoi occhi leggermente inclinati non avessero tradito la sua origine mongolo-tartara.

Non aveva più di trent’anni e quantunque chinese, era ciò che si dice un bell’uomo. Era di statura piuttosto alta ed elegante, con spalle robuste ed una muscolatura potente che denotava una forza più che straordinaria. La sua pelle, se non era precisamente bianca, aveva quella tinta leggermente bruna degli spagnuoli e degli italiani del mezzodì, gli occhi nerissimi, vivi, penetranti, i baffi neri, senza essere pendenti, ed invece di avere la coda e parte del cranio rasato, distintivo umiliante imposto dai manciuri vincitori alla razza mongola, portava capelli lunghi, sciolti sulle spalle.

Anche il costume che indossava ben poco aveva del chinese, poichè portava stivaletti all’europea, calzoni bianchi stretti alla militare, e solo una casacca di seta di Nankino bianca, a fiori gialli, stretta ai fianchi da un’alta fascia di seta rossa che mostrava i calci di due