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184 capo xviii.


distrutte, cadevano a pezzi, ed i bambù consumati alle estremità superiori e nei punti d’appoggio, precipitavano al suolo con grande fracasso, minacciando d’incendiare i cespugli e le piante arrampicanti.

— Era tempo! esclamò Cornelio. Pochi minuti di ritardo e noi precipitavamo da un’altezza di sedici metri, e mezzo arrostiti.

— Ma i pirati, perchè sono fuggiti, mentre ormai ci tenevano in mano? chiese Hans.

— Verso il fiume succede qualche cosa di grave, disse il capitano. Non udite queste grida?

— Pare che laggiù succeda una battaglia, disse Horn. Che i pirati siano stati assaliti?

— Ma da chi? chiese Hans.

— Forse da qualche tribù nemica, rispose il capitano. Gli abitanti dell’interno, come vi dissi, sono in continua guerra con quelli delle coste.

— Li hanno assaliti in buon punto, disse Cornelio. Udite?

Verso il fiume si udivano dei clamori assordanti: erano urla feroci, urla che parevano di belve anzichè emesse da gole umane e di tratto in tratto dei sordi rulli che parevano prodotti da qualche istrumento musicale, forse da un tamburo o da qualche cosa di simile.

Pareva che laggiù si combattesse furiosamente, poichè di quando in quando s’udivano anche delle urla strazianti, come emesse da persone che vengono sgozzate.

— Sì, succede una battaglia, disse il capitano. I pirati sono stati assaliti, forse dagli Arfaki o dagli Alfurassi.

— Che i vincitori vengano poi ad assalire anche noi? chiese Cornelio. Questa casa che fiammeggia può attirare la loro attenzione, zio.

— Non rimarremo qui ad attenderli, Cornelio. Lasciamoli uccidere a loro comodo e pensiamo a prendere il largo.

— E la scialuppa? esclamò Wan-Horn.

— Torneremo più tardi a cercarla.

— La troveremo ancora?

— Speriamo che sia sfuggita alle ricerche dei pirati. Sarebbe un vero disastro per noi, se l’avessero scoperta.

— Lo credo, poichè non so come potremo poi guadagnar Timor.