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170 capo xvi.


— Mortale, signor Cornelio.

— Usciamo, disse il capitano. Non bisogna lasciarli avvicinare.

Lasciarono la casa e si curvarono sui bambù della piattaforma esterna, i quali essendo così larghi, permettevano di sorvegliare tutti i dintorni della costruzione.

Non si udiva alcun rumore dalla parte della foresta: solamente la brezza notturna sibilava debolmente fra i pali di sostegno, su diversi toni.

Essendo sorta la luna si poteva distinguere un uomo ad una notevole distanza, ma nessuno appariva su quella piccola pianura.

— Non odo nulla di sospetto, disse Cornelio.

— Ed io non vedo alcun pirata, disse Hans.

— Ma la pianura è coperta di cespugli e di piante arrampicanti assai fitte, e quei bricconi possono avanzarsi strisciando, osservò Horn.

In quell’istante, quasi a conferma delle sue parole, una leggiera striscia oscura fendette l’aria e venne a piantarsi sulla parete esterna della capanna, a mezzo metro dalla testa del chinese.

— Oh! esclamò il capitano.

Si rizzò rapidamente e la staccò.

— Una freccia, disse, prendendola con precauzione. È stata lanciata da una cerbottana, non m’inganno.

Quella freccia era lunga venti centimetri; era un leggero cannello di bambù spinoso, aguzzato da una parte e fornito dall’altra d’un piccolo fiocco di cotone e da un tappo di midolla vegetale.

— È avvelenata? chiese Cornelio.

— Certo, e vi ordino di ritirarvi nella capanna, perchè a chi tocca una ferita è uomo morto. L’upas è un veleno che non perdona.

— Che l’abbiano lanciata i pirati?

— Senza dubbio, Cornelio; affrettiamoci a metterci al sicuro.

Abbandonarono la piattaforma e si ritirarono nella capanna nel medesimo istante che una seconda freccia, partita da un cespuglio, sibilava attraverso ai bambù, piantandosi sul tetto.