Pagina:Salgari - Duemila leghe sotto l'America - Vol. II.djvu/35


le acque bollenti 33


Si precipitarono tutti e quattro sui remi, ma non gli avevano ancora immersi nell’acqua che quella strana pioggia improvvisamente cessava.

— Eh!... esclamò Burthon. È passata la nube?

— Non era una nube quella che ci mandò quell’acqua bollente, disse l’ingegnere. Era una sorgente calda.

— Ma non piove più, sir John, disse Morgan.

— Perchè la corrente ci ha portati oltre. Non odi l’acqua crepitare sul fiume!

— E questo sordo tuono, che significa?

— Non lo so. Approdiamo e andiamo a vedere.

O’Connor e Burthon si misero a remare vigorosamente e spinsero, dopo una viva lotta contro la corrente che scendeva con furia estrema, il battello verso la riva destra legandolo solidamente ad un grosso macigno. Munitisi di lampade, gli esploratori balzarono a terra arrampicandosi su per l’erta sponda.

Il sordo tuono che erasi udito alcuni minuti prima era cessato ed era pure cessata la pioggia.

Sotto le oscure vòlte non si udivano che i muggiti della corrente che urtava furiosamente le sponde saltando sopra le roccie.

L’ingegnere, che si era messo alla testa, esaminò il terreno.

— Granito e tufo siliceo, disse. Non vedo alcuna traccia di lave.

Camminando con prudenza, si spinsero innanzi per un trecento passi poi si fermarono di comune accordo. I raggi delle lampade mostravano una fitta massa ai vapori biancastri che usciva da una specie di vasca.

— Una nuova miniera che arde? chiese Burthon.

— O una sorgente calda? disse l’ingegnere.

— Buono! mormorò O’Connor. Cucineremo un