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avvide fu il Medico Padrone di casa, il quale presa compassione di Lui si cacciò in testa di volerlo rissanare; laonde, quando tempo gli parve opportuno, trattolo in disparte destramente, acciò la moglie non udisse il loro ragionare, così gli prese a dire: «Gentilissimo Cavaliere, che ben tale voi siete, io da che hommi la sorte di vedere dalla persona vostra cotanto onorata la casa mia, mai non ebbi in voi difetto, non che ombra di ciò scoperto, onde avviene ch’io non posso se non celebrare le molte vostre prerogative che, oltre alla nobiltà del sangue, di gran lunga ancor più chiaro vi rendono. Quindi è che, la menoma di queste possedendo, io a grandissimo capitale mi terrei d’essere. Un solo neo però che talvolta, secondo il corto mio intendimento, alcuna parte del vostro bello adombra, egli è quel troppo dar beccare all’umore, che in voi conobbi, della qual cosa, s’io ne sapessi la cagione, e’ mi sembra di aver in pronto il rimedio, che mi sia mozzo quanto capo io ho, se ad onore non ne riesco poi. Io già non era sì ardito di farvi intorno ciò parola se voi, molte fiate scoprendomi l’animo vostro, aperto non mi aveste il varco; perciò me non abbiate a sdegno perché tanto mi sono esteso, e qualor troppo di molestia non siavi per essere, narratemi, vi priego, le cagioni, che sì stare vi fanno impensierito». A cui il Giovane rivolto con lieto viso rispose:

«Dell’amore che a me, quantunque di meriti privo, dimostrate, gentil

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