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la pigrizia 89

mia scellerata condotta! Finalmente potei partire da Chieti, e varcare a fatica gli Appennini per vie scoscese. Ma con che faccia poteva io presentarmi ad un padre tradito sì crudelmente? Più volte ebbi a dire a me stesso: «Sarebbe stato meglio che fossi perito nel naufragio!!» Indi rimproverandomi la stolta disperazione, mi feci coraggio, e arrivai a Napoli ventisei giorni dopo la partenza da Venezia.

Ogni povero vecchio che incontrava per via mi faceva tutto arrossire e tremare; credeva sempre che fosse mio padre. Alla fine dopo lungo e penoso aggirarmi per quella immensa città, mi fu insegnata la sua abitazione, che era un povero tugurio nei sobborghi sul mare. Col tremito addosso, con l’ansietà, con lo spasimo dei rimorsi salii una scala di legno che schricchiolava sotto i miei piedi. Quando fui per arrivare in cima, vi comparve una vecchia che messo il dito alle labbra m’impose tosto silenzio. Allora le chiesi sotto voce di Antonio Zola; ed ella rispose: «È qui; ma non si passa; sta peggio; e cosa volete da lui?» — «Come! dissi, sta peggio? Dunque è malato!» — «È moribondo, pover uomo; Parlate adagio.» — «Padre mio!» esclamai, appoggiandomi alla parete, che mi si ripiegarono le ginocchia, nè potei dir altro. La vecchia mi resse alla meglio, e intanto udii una voce, una voce che finì di straziarmi l’anima: «È lui, è lui; e venuto a chiudermi gli occhi.» Allora mi precipitai al suo capezzale; vidi quegli occhi infossati, scintillanti, pieni di compas-