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184 MISURA PER MISURA


Duc. Buon padre, fatemi provare questa soddisfazione. Voi ne sorriderete, Angelo? Oh Cielo! quant’è la temerità degl’insensati! — Dateci da sedere. — Venite, Angelo, voglio essere parziale in questa bisogna; siate voi stesso giudice nella vostra causa. (Isabella è condotta via fra le guardie, e s’avanza Marianna velata) È questo il vostro testimonio, buon padre? Ci mostri prima il suo viso, e parli tosto.

Mar. Perdonatemi, signore, io non mostrerò il mio viso, finchè il mio sposo non me lo comandi.

Duc. Siete voi maritata?

Mar. No, signore.

Duc. Siete fanciulla?

Mar. No, signore.

Duc. Vedova, dunque?

Mar. No, mio signore.

Duc. Non siete nulla allora; nè fanciulla, nè vedova, nè sposa?

Luc. Potrebb’essere una meretrice, signore; perchè ve ne sono della sua specie, che non son nè fanciulle, nè vedove, nè mogli.

Duc. Fate tacere quel malnato; vorrei ch’egli avesse a parlar per se medesimo.

Luc. Sia, signore.

Mar. Signore, confesso che non fui mai maritata, e confesso inoltre che non sono fanciulla: ho conosciuto mio marito, e nondimeno mio marito non sa d’avermi mai conosciuta.

Luc. Sarà stato ubbriaco; non può essere altrimenti.

Duc. Per ottenere da te silenzio, vorrei che tu pure lo fossi.

Luc. A meraviglia, signore.

Duc. Qui non v’è nessuna testimonianza che riguardi Angelo.

Mar. Aspettate un istante. Quella giovine che l’ha accusato, ha accusato nello stesso modo mio marito, e ha detto ch’ei si rese colpevole in un momento in cui io appunto aveva il mio sposo fra le mie braccia in atto di provarmi tutto il suo affetto.

Ang. L’accusa essa di qualche cosa di più che non fa me?

Mar. No, ch’io sappia.

Duc. No? Ma chi è vostro marito?

Mar. È Angelo che crede d’esser sicuro di non aver mai goduto dell’amor mio, ma bensì di quello d’Isabella.

Ang. Questo enigma è strano: vediamo una volta il vostro volto.

Mar. Il mio sposo me lo comanda, e debbo ubbidirlo. (svelandosi) Eccolo, questo volto, crudel Angelo, che tu giurasti un