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272 ENRICO IV

del vostro ducato. In verità, quel freddissimo giovine non mi ama; è impossibile di farlo ridere; ma nulla v’è di meraviglioso in ciò, non bevendo egli mai vino. Nessuno di tali austeri intelletti finirà bene; perchè la loro bevanda, scipita insieme col molto pesce che mangiano, raffredda talmente il loro sangue, che cadono in una specie di atrofia morale, e fatti sposi van spesso dalle donne di bel mondo. Costoro per la più parte sono vili e stolti: e noi pure lo saremmo, se non tenessimo acceso il nostro corpo. Una buona bottiglia! produce due ottimi effetti: primo, ascende al cervello, ove disperde tutti i vapori che l’oscurano, e rende la concezione viva, gaia, limpida, suscettiva di mille forme più leggere, più dilettevoli l’una dell’altra, le quali poi, rese alla voce col mezzo della lingua, producono cento graziose beffe. Secondo, infiamma il sangue, che, torpido prima e inanimato, lasciava il fegato bianco e insano, sintomo evidente di codardia, e fa scorrerlo per le vene dal centro interiore a tutte le estremità. Poi accende il volto, che, come faro, avverte il resto di questo piccolo regno, che si chiama uomo, di prendere le armi: e allora tutta la schiera degli spiriti vitali, e de’ spiriti subalterni accorrono in folla dal loro capitano, il cuore, che, superbo e gonfio per tanta affluenza, compie quanto gli si chiede in fatto d’opere di coraggio: per cui può dirsi che tutto il valore deriva dai suchi dell’uva, e che senza di essa nulla diviene la maggior perizia nelle armi. È il vino che mette in moto ogni scienza: avvegnachè il più gran sapere altro non sia che una miniera d’oro custodita dal diavolo, che il succo dell’uva soltanto può esorcizzare. Ecco dunque perchè il principe Enrico è prode; egli aveva naturalmente redato da suo padre un sangue gelido, ma ha saputo sì bene coltivarlo e impinguarlo a guisa di terra sterile, col bere di quel migliore, che trasformato se lo ha in avventatissimo e generoso. Se avessi mille figli, il primo principio che loro istillerei, sarebbe quello di rinunciare ad ogni insulsa bevanda e di consacrarsi interamente all’ottimo claretto (entra Bardolfo). Ebbene, Bardolfo?

Bard. L’esercito è tutto licenziato e partito.

Fal. Lascia che Belzebù lo guidi. Io me ne andrò in Glocester, ed ivi visiterò messer Roberto Shallow, scudiere. Lo tengo già in macerazione fra il pollice e l’indice, siccome cera, e fra poco me ne varrò da suggello. Vieni.     (escono)