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atto primo 153

tale eccesso di bontà che mi fece perder quegli omaggi, che un’anima altera non porge mai che ad altr’anima più altera di lei.

Wor. La nostra casa, mio sovrano, non merita di essere percossa dalla verga di un potere, che le nostre mani stesse fecero salire a questa altezza.

Nort. Signore.....

Enr. Worcester, ritirati, perocchè io leggo ne’ tuoi occhi la minaccia e la disobbedienza. — Oh Worcester, la vostra presenza mostra troppa audacia e risolutezza; e un re potrebbe stancarsi alfine di tollerare il sopracciglio aggrottato e imperioso di un suddito. Siete libero di lasciarci: allorchè ne occorreranno i vostri servigi, o i vostri consigli, vi faremo chiamare. — (Wor. esce) Volevate parlare?     (a Nort.)

Nort. Sì, mio nobile principe. Quei prigionieri che furono richiesti in nome di Vostra Altezza, e di cui Enrico Percy si impossessò ad Holmedon, non furono, a ciò che si dice, rifiutati con tanto spregio quanto ne venne descritto a Vostra Maestà. Fu dunque l’invidia, che creò quel fallo, di cui mio figlio non è colpevole.

Hot. Mio sovrano, io non m’opposi ad alcun riscatto: ma rammento che dopo la battaglia, allorchè ero sfinito dalle fatiche e dal furore, fuori di lena e appoggiato sulla mia spada, venne a me un lord leggiadramente vestito, alacre come un novello sposo, il cui mento era raso come il campo pur mo’ mietuto; che profumato come un mercante di mode, teneva fra il pollice e l’indice un piccolo alberello di odori che di tratto in tratto si appropinquava alle nari, traendone argomento d’altissimi starnuti. Costui sempre sorrideva, e mirandosi sino ai piedi con diletto, tassava i soldati di scortesia, perchè gli passavano accanto trasportando i cadaveri mutilati degli estinti. Un tal idiota mi fece cento inchieste, in termini fioriti quali ne usa una gentildonna, e mi domandò i prigioni in nome di Vostra Maestà. Io allora, cruciato dalle mie piaghe divenute fredde, veggendomi così noiato da quell’uccello di corte, nell’impazienza che risentiva, gli risposi con ira, non rammento che che gli avrebbe o non gli avrebbe, perocchè mi mosse a sdegno il vederlo sì lucido d’oro e di porpora, profumato da tante essenze, parlarmi col linguaggio di una femminetta, di cannoni, tamburi e ferite, e (il Cielo lo assolva) venirmi a dire che lo specifico migliore per le contusioni interne è il grasso di balena; non che era assai da commiserarsi che si vada a dissotterrare, dalle viscere della