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20 il re lear


SCENA III.

Una stanza nel palazzo del duca di Albanìa.

Entrano Gonerilla e un Maggiordomo.

Gon. È vero che mio padre percosse il mio scudiere, perchè garriva il suo pazzo?

Magg. È vero, signora.

Gon. Dì e notte ei m’oltraggia, ad ogni istante commette qualche stolta imprudenza, che tutti ne pone sossopra. Nol soffrirò. I cavalieri suoi divengono turbolenti e ribelli, e odonsi continui rimproveri. — Tra poco ritornerà dalla caccia: nol voglio vedere. Ditegli che sono inferma; e, negligendolo, ben farete: penso io a difendervi.

Magg. Eccolo, signora; n’odo l’annunzio.

(suono di corni all’interno)

Gon. Mostrate, sì voi che i vostri compagni, nel servirlo tutta l’indifferenza, tutta la mala grazia che vi piacerà. Desidererei che ardisse lagnarsi di ciò. Se un tale trattamento gli sembra cattivo, vada da mia sorella, la cui intenzione s’accorda perfettamente colla mia. Di padroni siamo stanche. Un inutile e capriccioso vecchio, che vorrebbe comandare tuttavia, come se volontariamente non si fosse spogliato della propria autorità! Sull’onor mio, questi vecchi ritornano fanciulli; e trattarli bisogna con rigore, quando invano si adoperano le carezze. Ricordatevi di ciò che vi ho detto.

Magg. Lo farò, signora.

Gon. E verso i suoi cavalieri comportatevi con maggior severità. Poco vale quel che ne potrà avvenire. Fatene istrutti i vostri compagni. Vorrei che da ciò mi nascesse occasione di parlare......... Vado intanto a scrivere a mia sorella per esortarla a tenere eguale condotta. — Ite ad apprestare il pranzo. (escono)

SCENA IV.

Altra stanza nel palazzo stesso.

Entra Kent travestito.

Kent. Se riuscir posso del pari a fingere un altro suono di voce, l’onesto mio intendimento otterrà quello scopo a cui mirai trasfigurandomi. Ora, bandito Kent, se ti è dato di rendere qualche servigio nei luoghi stessi in cui fosti condannato (così avvenga!) il signore che tu ami potrà infine convincersi che tu hai solo adope-