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atto primo 191

e per quanto sia veramente inesplicabile tanta negligenza, il fatto non è però men vero.

Gent. Lo credo.

Gent. Ma sia qui fine al nostro discorso, chè veggo Postumo avanzarsi in compagnia della regina e della principessa. (escono)

SCENA II.

Entrano la Regina, Postumo e Imogène.

Reg. No, siatene certa, figlia mia; in me non troverete, come se ne può fare rimprovero alla maggior parte delle madrigne, un occhio malevolo per voi: siete mia prigioniera; ma la vostra custode vi affiderà le chiavi della carcere. Quanto a voi, Postumo, tostochè potrò mitigare il cruccio del re, assumerò le vostre difese; ma, ve lo dico, il fuoco della collera gli scalda ancora il sangue; e savio consiglio sarebbe sottomettervi alla condanna, da lui pronunciata, con tutta quella rassegnazione che la prudenza vi saprà suggerire.

Post. Se a voi sembra conveniente, Altezza, esulerò fino da oggi.

Reg. Voi conoscete il pericolo: traetene quindi buon senno. Io intanto passeggierò per breve ora i giardini, commiserando le angoscie di due cuori l’uno dall’altro divisi; sebbene il re m’avesse ingiunto di non lasciarvi insieme.     (esce)

Imog. Oh simulato amore!... oh come bene ella sa carezzare, nel tempo stesso che inacerbisce la piaga! Mio sposo, lo sdegno di mio padre mi spaventa; ma non cadranno già sopra di me gli effetti della sua collera. Conviene che voi partiate; mentre io dovrò qui rimanermi, e sostenere ad ogni istante gli adirati suoi sguardi, senza nulla che mi consoli, fuorchè il pensiero, che evvi nel mondo un gioiello cui potrò rivedere e possedere ancora.

Post. Mia regina, mia amante, adorata mia principessa, non piangere, se non vuoi forzarmi a commozione maggiore di quella che ad uomo si addica. Sarò lo sposo più fido che mai giurasse amore dinanzi agli altari; fermerò la mia stanza in Roma, presso l’amico del padre mio, Filario, cui non conosco finora che per lettere: là inviatemi vostre nuove, e i miei occhi, amabile sposa, divoreranno i vostri scritti, quand’anche esalar se ne dovesse un veleno di morte.     (rientra la regina)

Reg. Sollecitate, ve ne prego: se il re sopravvenisse, non so