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atto terzo 57

voi per l’Inghilterra. L’interesse del nostro Stato non ci permette di esporci così da vicino ad un pericolo che cresce ogni giorno cogli eccessi del suo delirio.

Guil. Ci appresteremo alla partenza. — È un timor sacro e religioso quello ch’è nudrìto per la salute di tante migliaia d’uomini che non vivono che per Vostra Maestà.

Ros. È un dovere pel semplice cittadino l’armare tutto il coraggio e tutte le forze della sua anima onde difendere l’isolata sua esistenza contro tutto ciò che può nuocere; per più forte ragione un dovere è per l’anima sovrana, su di cui posa e si fonda la felicità e la vita di un intero popolo. Un re non muore solo; come torrente, ei trascina seco tutto che lo circonda. Vasta ruota è, fissata sul culmine di una montagna, a’ cui immensi raggi s’attengono innumerevoli esistenze; ov’ella cada, cade e si frange tutto ciò che su di lei riposava. Non mai re gemè un sospiro che non producesse grande ululato, e lamento universale.

Re. Preparatevi, vi prego, per questo immediato viaggio. Vogliano sospendere i progressi del terrore che ci minaccia, e si fa più grande ad ogni istante.

Ros. e Guil. Saremo solleciti     (escono) (entra Polonio)

Pol. Signore, ei va nelle stanze della regina; mi celerò dietro le tende per udire il loro colloquio. Son certo ch’ella gli farà acri rimproveri; e come ho detto, e saviamente detto, è bene che, da luogo da ciò, un altro testimonio (rendendo la natura tutte le madri parziali) oda tal conferenza. Addio, signore; verrò a trovarvi prima che vi ritiriate, e v’instruirò di ciò che ho saputo.

Re. Grazie, mio caro signore. (Pol. esce) Oh la colpa mia è atroce; essa grida vendetta al Cielo, e porta seco la maggiore di tutte le maledizioni. L’omicidio di un fratello!... Oimè! non posso neppur pregare; il mio delitto distrugge ogni sforzo della mia volontà. Come uomo incalzato da due voci che lo minacciano, esito, medito, e ignoro ciò che io mi debba fare... Ebbene? Quand’anche questa mano maledetta fosse più contaminata che non lo è del sangue di un fratello, quel dolce Cielo non ha egli pioggie abbastanza per renderla tersa come la neve? A che vale la misericordia, se essa non può perdonare l’offesa? e quale è la virtù della preghiera, se non ha la doppia forza di prevenire le nostre cadute, o di rialzarcene detersi? Solleviamo dunque gli occhi verso il Cielo, e il mio fallo scompaia... ma oimè! a qual forma di preghiera avrò ricorso? Perdonami il mio omicidio orribile... Ma poss’io ottenerne perdono, quando fruisco ancora degli oggetti per cui lo compiei, la mia corona, la mia sposa, la mia