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atto quarto 141


Cass. Che ascolto! Porzia.....

Br. Morì.

Cass. Oh! e non m’uccidesti mentre ti oltraggiavo? Oh perdita funesta, perdita irreparabile! — E quale sventura te la tolse?

Br. Il dolore di viver lungi da me, e di vedere Antonio ed Ottavio sì rapidamente aggrandirsi. Sola e senza speranza, l’infelice insanì; e, colto l’istante, trangugiò accesi carboni (1).

Cass. E in tal guisa perì?

Br. In tal barbara guisa.

Cass. Oh immortali Dei....!

Br. Di lei si taccia sempre. (entra Lucio con una coppa e con fanali) Dammi quella tazza, e in essa seppelliscasi ogni rancor nostro.

(beve)     

Cass. Il mio cuore è assetato di rispondere al generoso tuo invito. Dà ora a me quella coppa, Lucio; e mesci, mesci, finchè trabocchi: ber non potrò mai troppo in quelle tazze cui attiepidirono le labbra dell’amistà. (beve; rientra Titinio con Messala)

Br. Avanzati, Titinio; e sii tu il benvenuto valoroso Messala: a consiglio ti feci chiamare, poichè uopo è che insieme deliberiamo sulle nostre necessità.

Cass. (fra sè) O Porzia, più non sei!

Br. Cessa, te ne scongiuro. — Messala, queste lettere, che ho ricevuto, m’ammoniscono come Ottavio e Antonio intendano assalirci con poderoso esercito, e dirigano i loro passi alle pianure di Filippi.

Mess. Lettere dello stesso tenore a me pervennero.

Br. E nulla di più dicevano?

Mess. Solo che col bando e colla proscrizione i triumviri fecero perire cento senatori.

Br. In ciò le lettere nostre differiscono; e le mie non m’annunziano che settanta senatori morti, fra cui Cicerone.

Cass. Cicerone ancora?

Mess. Sì, Cicerone proscritto morì. — E di vostra consorte aveste novelle, Bruto?

Br. No, Messala.

Mess. E nulla di lei dicevano le lettere a voi dirette?

Br. Nulla.

Mess. Mi sorprende.

Br. A che la sorpresa? Forse di lei sapesti.....

Mess. Signore.....

  1. Qui è anacronismo di qualche mese.