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— L’onda mi butta giù. I sacchetti mi tirano giù. Maledetti sacchi.

Silenzio di cinque minuti. Guardiamo gli orologi che sono tutti guasti (meno quello di Lussu). Dio come il tempo passa presto. Siamo alla fine.

Ancora tre minuti, due minuti, un minuto. Ultimo lacerante sguardo. Nulla. Finito. Tutto finito. Lussu, l’esplosivo Lussu, da quando è in azione è diventato di pietra. Sta sulla roccia come un vecchio guerriero della sua terra.

E il binocolo sembra un fucile.

Solo suo commento: «È penoso. Dopo sei mesi è penoso». Lussu è calmo, calmissimo.

Non ci sono dubbi. Torniamo. Ma l’aratro del mondo — come amava dirci spesso — gli è passato sul cuore.

Ciaf, ciaf, ciaf. I tre sono in acqua. Rosselli, balenottero veloce, precede con i sacchi. Si fila presto.

Nuotiamo veloci. Arriviamo a riva, stracciamo i pacchi, i vestiti sono completamente inzuppati. Mentre a fatica li infiliamo suona la tromba fatale. Sono le otto. Bisogna correre a casa.

Partiamo come briganti che han fallito la preda ma son decisi a non farsi acciuffare.

Lussu si avvolge attorno al collo un pantalone bagnato. Ricorderò finché vivo il gesto maestoso con il quale l’avvolgimento fu fatto. Gesto da capo, che si getta la mantella sulla spalla prima di lanciarsi all’attacco. Ma l’epica precipita. Incontriamo un Tizio

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