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componevano e stampavano drammi e tragedie che pochi leggevano e nessuno rappresentava. — Accortosi però di non aver sortito da natura estro tale da gareggiare coi poeti più eletti del suo tempo, abbandonò presto gli ameni studî e la poesia per volgersi con ardore a quelli più severi della storia e dell’erudizione. Dedicossi dapprima alla Diplomazia, poi, quasi esclusivamente, alla Numismatica medioevale. Già da tempo aveva concepito il vasto disegno di completare la grand’opera di Guid’Antonio Zanetti, correggendone gli errori, ed arricchendola di nuove aggiunte, per dotare anche l’Italia di una storia compiuta delle sue zecche e delle sue monete. A tal fine aperse un’attivissima corrispondenza coi più dotti cultori di tal genere di studî in tutta la penisola, e studiando con passione nelle opere che si andavano allora di mano in mano pubblicando anche in Italia, e più specialmente in quelle del celebrato Gianrinaldo Carli, andava sempre più addestrandosi in tali discipline; in pari tempo non si stancava mai di frugare in archivi pubblici e privati, e di scoprire sempre nuove memorie e documenti da servire alla sua colossale impresa. Sebbene di modeste fortune, non esitò di eccitare banchieri, negozianti ed amici a fare incetta per suo conto d’ogni sorta di monete italiane, a tal segno che per questa sua smania di raccogliere ed accumulare più che poteva quei costosi materiali per la sua opera, andò incontro a spese per lui enormi, e superiori ai mezzi dei quali poteva disporre, accresciute ancor più dall’avarizia di speculatori avidi o disonesti, che talune monete, sia pure rarissime, non gli vendevano che a prezzi elevatissimi ed esorbitanti, talchè il povero Viani ne sentiva disagio, e più d’una volta lo ridussero in tali angustie economiche da provocare sdegno e compassione ne’ suoi veri amici e in tutti gli onesti che l’aiutavano nella sua nobile impresa.

Nell’esame di que’ piccoli monumenti della passata grandezza italiana, il Viani era sì scrupoloso ed esatto, che soleva rispondere a chi ne faceva le meraviglie, ch’egli, sebbene avesse perduto un occhio, con quell’altro che gli rimaneva, ci vedeva meglio di que’ che li avevano tutti e due. Nello studio che faceva delle monete nulla sfuggiva