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aes rude, signatum e grave, ecc. 105

inscritte: ΒΡΕΤΤΩΝ, Garrucci, CXXIV, 12 = Head, H. N., p. 77; ΛΟΚΡΩΝ, Garrucci, CXIII, 13; ΡΗΓΙΝΩΝ, Garr., CXV, 10, 11; non che le monete anepigrafi di Squillace (Scylacium), Garrucci, tav. CXIII, 25-27.

I Dioscuri, fidi patroni e custodi della cavalleria romana (Equites) ma patroni nel tempo stesso di Locri, di Regio, e della vicina Tindari in Sicilia, dove avevano il loro principale tempio e culto (vedi le monete dei Tindaridi ΤΙΝΔΑΡΙΤΑΝ, Head, p. 166 e seg.), avevano preso decisamente la parte dei Romani, facendo loro guadagnare le città ch’essi proteggevano ed aprendo loro la via della Sicilia. — Agli occhi dei Romani, i Dioscuri furono i veri loro salvatori (Σωτῆρες) quando, passati in Sicilia, per la prima volta si trovarono a combattere in mare, e vinsero, fra Milazzo e Tindari, la prima battaglia navale (260 a. C.). L’occupazione romana di Tindari cade tre anni dopo (257 a. C.).

I Dioscuri, detti dai Romani Castores o Polluces, identificati al grande e vecchio Cabiro del tempio di Giove Capitolino (Volcanus = Hephaistos di Lemno, V. nota n. 20), identificati ai Cabiri di Samotracia ed ai Penati recati da Enea, quali dei, per eccellenza, del mare e della navigazione, diventarono i naturali rappresentanti del nuovo orizzonte politico romano; e si capisce perfettamente, come, dopo l’acquisto dell’estrema punta d’Italia e la pacificazione e unificazione generale dei vari popoli italici (269-68 a. C.), essi dovessero a buon diritto sostituire il Giove Fulguratore Capitolino, che i Romani avevano espresso sui vecchi quadrigati campaniani, finché esso li aveva guidati alla conquista ed alla unificazione dell’Italia.

Il Giano bifronte del bronzo capuano e dei quadrigati, imposto come simbolo dell’unità e confederazione italica perfino ai Regini assoggettati ed unificati (Gar