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XXXVI.


     Tristo e dolente e faticato molto
          son nel pensero, amor, chè tanto acierbo
          mi vi mostrate, secondo lo verbo
          ch’i’ parlar v’odo e l’atto de lo volto,

     dal qual solea gioioso esser accolto.
          Ed ora, lasso, ’l contraro riserbo!
          là ’nde ’l dolor mi cierca ciascun nerbo
          si c’onne buon valor me n’ave tolto.

     E sì mi grava più cotal fatica,
          perchè pensando non mi sento in colpa,
          che, s’io mi vi sentisse, non farebbe.

     Però, amore, valer ciò mi dovrebbe;
          chè chi non pecca, parmi, assai si svolpa,1
          nè non dovrìa portar pena nemica.


XXXVII.


S'on si trovò già mai in vita povra
     o fu neun ch’avesse gran disagio
     o discacciato di contrada e d’agio,
     sì son io que’ ch’à peggio chi gl’anovra.

Oime, lasso dolente, i’ fui di sovra,
     or è sì poco, di gioi’ nel palagio,
     ed or mi trovo in loco, che malvagio
     mi tegno ch’a la giente mi discovra.

Chè star mi dovere’ in loco rinchiuso
     e piangier lo mi’ danno tutto tempo
     ch'è sì pericoloso in un momento.

No ’l faccio sol chè ’n ciò trovrei abento,
     ned io trovar no ’l vo’ nè l’amo, se ’n po —
     tenza non torno, ’v’i’ era sì uso.

  1. Nel senso di scusarsi, sciogliersi - franc. ant: desvoleper, desvoloper