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Ardua bellorum fuit gens Agrigentinorum
Tu sola digna Siculorum tollere signa,
Gigantum trina, cunctorum forma sublima
Paries alta ruit; civibus incognita fuit,
Magna gigantea, cunctibus videbatur ut Dea
Quadrigenteno primo sub anno milleno,
Nona decembris deficit undique membris
Talis ruina fuit, indictione quinquina.

Scorgonsi tuttora tre giganti nello stemma di Girgenti, ed il popolo dava nome di Palazzo dei Giganti a quelle rovine.

Di tutto quel grandioso edificio, null’altro ora si può scorgere se non la pianta, resa visibile per mezzo di scavi, la quale reca stupore per la sua immensità. Le materie scavate hanno formato ai fianchi due alture, coperte ora di piante selvatiche, e qua e là fra le macerie hanno gettato le loro radici piante di olivo. La maggior parte delle rovine trovansi accumulate sul lato di ponente, dove caddero a terra le parti colossali di quell’edificio, e dove trovansi fra le altre cose frammenti di mezze colonne, nelle cui scannellature, siccome osservò già Diodoro di Sicilia, può comodamente trovare posto un uomo. Ma per quanto sia grande la mole di quei ruderi, si scorge che sono pochi in confronto del complesso dell’edificio, e si scorge che gran parte dei materiali dovette essere asportata. Il molo di Girgenti, ai tempi ancora di Carlo III di Borbone, venne costrutto con pietre tolte dall’Olimpio. Nello spazio di questo, ora fatto libero e piano, trovasi disteso uno dei giganti i quali servivano di cariatidi. Consta di vari pezzi di tufo calcare, congiunti gli uni agli altri. Il suo capo, gigantesco diventato informe per le ingiurie del tempio, e e per la caduta, ha pochi capelli, ed un berretto di forma frigia; le sue braccia sono sollevate in alto, come quelle delle cariatidi. La figura di trenta palmi di lunghezza, è di pretto stile egizio, colle gambe e di piedi riuniti. Desso ricorda le statue colossali di Menfi e di Tebe, ed ivi, di-