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ma coltivata riccamente a grano. Non s’incontrava un villaggio; tutto quel terreno pareva abbandonato. Nell’uscire da alcuni cespugli, ci colpì la vista di uno stagno interamente diseccato, che ci stava davanti piano e bianco come la neve; crescevano tutto all’intorno grossi e ruvidi giunchi. Non ricordo aver veduto tratto di paese, di aspetto cotanto deserto.

Finalmente dopo una cavalcata di ben ventiquattro miglia italiane, arrivammo a Montallegro; se non che mal corrispondeva il nome alla povertà ed alla squallidezza di quel villaggio, che circondato di territorio arido, dove a stento crescevano poche viti intisichite, e pochi alberi di olivo, sarebbe stato più meritevole del nome di Monte Tristo. L’abitato sorgeva dapprima sul monte, ma da un centinaio d’anni era stato abbandonato perchè colà si soffriva penuria d’acqua. Si scorgono pertanto due paesi vicini l’uno all’altro, l’antico sul monte colle sue strade, colle sue case tuttora in piedi, ma disabitate, quasi una mummia di villaggio; il nuovo ai piedi del monte stesso quasi non meno deserto, e di aspetto squallido pressochè al pari dell’antico. Tutte le case sono formate di roccia calcare, di tinta grigia malinconica. In questi dintorni sorgeva un tempo Kolikos l’antica città di Heraclea Minoa, la quale ripeteva il suo nome da Minosse; imperocchè quando questo re venne in Sicilia per perseguitarvi Dedalo, e fu ucciso dalla figliuola del re Cocalo, i Cretesi che erano venuto seco lui edificarono Minoa. Alcune grotte e sepolcri scavati nello scoglio, sono quanto rimane tuttora della antichissima città.

Da Montallegro, a traverso contrade deserte, e molestati oltre ogni dire dall’ardore del sole, arrivammo a Siculiana, paesello d’aspetto cupo, che giace sur un monte arido, dove non si scorge altra vegetazione che quella dei cactus pungenti, i quali crescono fra le roccie. La miseria della popolazione vi è grande. In tutti questi dintorni, le donne portano una specie di sciallo bianco o nero, a foggia di mantiglia, che rialzano sulla testa, e gli uomini