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di Danzica; ma io ho poco gusto per la rappresentazione plastica delle sofferenze umane, e non ho mai potuto provare una grande soddisfazione, nemmeno nel contemplare al Vaticano, lo stupendo gruppo del Laocoonte.

Avrei visto molto più volontieri la chiesa ed il convento dei Domenicani, quale ricordo di un opoca storica, della guerra contro gli Albigesi, dell’inquisizione e del frate famoso che accese i roghi in tutta la Provenza; se non che quegli edifici stupendi furono rovinati totalmente dalla furia rivoluzionaria. I primi Papi di Avignone, ebbero stanza in quel monastero ora distrutto, ed ivi Giovanni XXII dichiarò santo il più gran filosofo del medio evo, Tommaso di Acquino, il più illustre dei Domenicani, alla presenza del re Roberto di Napoli. Quel Papa riteneva fra le cose sue più preziose lo stupendo codice in pergamena della Somma del santo, e lo lasciò morendo alla biblioteca del monastero, colla espressa condizione dovesse essere fissato al muro con una catena. La rivoluzione venne a liberarlo, ed ora il prezioso volume, coperto della polvere dei secoli, gode della sua libertà o del suo obblio nella biblioteca civica. Caterina di Siena monaca dello stesso ordine, rivolse in quel monastero le sue osortazioni al Papa, per persuaderlo a far ritorno a Roma. Era stato quel convento costrutto poco tempo prima, nell’anno 1330 e si assicura che il suo cortile fosse bellissimo e punto non la cedesse per vaghezza a quello di S. Trofimo in Arles. I sanculotti rovinarono tutto, comprese pure le tombe di ventiquattro cardinali, sepolti nel convento. La chiesa, in gran parte distrutta, venne ridotta più tardi a fonderia di cannoni.

Per farsi un’idea delle vandaliche devastazioni operate dalla rivoluzione nella Provenza, è d’uopo visitare il museo di Avignone, vicino appunto alia chiesa dei Domenicani. Trovasi allogato in un palazzo abbastanza ampio del secolo XVIII. Dopochè il benemerito dottore Calvet fondò questo museo nel 1810 vennero accolte in esso le reliquie delle arti belle tolte dalle chiese, dai conventi, dai ca-

F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. II. 10