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quistarvi il suo regno. Aveva d’uopo d’uomini e di danaro, e vendette l’8 giugno 1348 la città di Avignone al Papa, per la meschina somma di ottanta mille scudi d’oro. Si trassero da questo fatto severe conclusioni; nessuna prova esiste a conferma di esse, ma il sospetto è facile a spiegare. L’uccisione di un re, e l’assoluzione di una regina accusata di averlo spento, furono quelle che ridussero Avignone in signoria dei Papi. Giovanna riacquistò il regno di Napoli, che governò con senno e prudenza per molti anni, in mezzo ad agitazioni continue. Morto Ludovico di Taranto sposò Giacomo di Aragona, e venuto a morte questi pure, tolse a quarto marito Ottone di Braunschweig, ma non potè più a lungo dominare il caos in cui era piombato il regno. Cadde nelle mani di Carlo III di Durazzo, suo parente e nemico a morte, e questo pretendente alla corona, ordinò a’ suoi scherani di farla perire della stessa morte toccata al suo primo marito. Giovanna di Napoli fu strangolata nel castello di Muro nelle Puglie nel 1382.

Mentre le mura del palazzo di Avignone richiamavano alla mia memoria quest’episodio sanguinoso della storia del regno di Napoli, il mio pensiero si fermava a considerare le condizioni attuali del regno stesso, le cui sorti incerte ed agitate, traggono a sè l’attenzione di tutta quanta Europa. Pensavo al giovane re Francesco rinchiuso nelle mura di Gaeta, erede degli errori e delle colpe di suo padre, fuggitivo dalla sua capitale, abbandonato da suoi popoli, stretto d’assedio dalle truppe italiane nella sua ultima fortezza, minacciato dal re di Piemonte che mira a precipitare dal trono il suo congiunto, inalberando l’antica bandiera di Cola di Rienzo, la bandiera dell’unità d’Italia, con Roma capitale. Sono nuove pagine sanguinose negli annali del regno di Napoli, la cui storia è cupa e vergognosa quanto nessun’altra al mondo, se non chè il fuoco dei cannoni di Gaeta, è l’ultimo lampo del tramonto di un dispotismo il quale non poteva più durare; e dopo alcuni anni non si potrà a meno di ammettere