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Essendo giorno di fiera in S. Germano, incontrai per istrada molti contadini. Vestono come nella valle del Sacco e portano qui pure i sandali; ma le donne a vece del busto portano larghi nastri che scendono dalle spalle, e due vesti di cui la superiore fatta a guisa di grembiale, il tutto di aspetto groziosissimo.

A questo punto invito il mio lettore ad abbandonare la strada di Capua, ed a piegare a diritta verso Acquino, il quale giace in mezzo alla pianura. Attraversiamo con piecere la linea recentemente ultimata fino a questo punto della strada ferrata di Capua, la quale non può essere ancora attivata, imperocchè se il governo napoletano si affrettò e compierla sul suo territorio, quello pontificio trovasi in ritardo a costrurla sul suo, dove non giunge che poco oltre Albano.

In un quarto d’ora, ed a traverso campi coltivati a gran turco, si arriva ad Acquino. Questa città, grande ai tempi dei Romani, è ore un borgo lungo e stretto, dal quale non sorge che un campanile. La sua posizione, a fianco di un rivo, non ha nulla di distinto, se non che sono bellissimi per ricchezza e per frescura di vegetazione i suoi dintorni, ed è poi stupendo il suo orizzonte. Esistono tuttora in vicinanza alcune rovine della città romana, avanzi di porte, di mura, reliquie dei tempii di Cerere e di Diana, in complesso però, nulla di rimarchevole. Stanno presso il rivo le rovine di una chiesa del secolo XI, S. Maria Libera, basilica a tre navate, sulla porta della quale si scorge tuttora una Madonna in mosaico, opera bizantina, in oltimo stato di consercazione. Sorgono per tanto vicine le une alle altre le rovine d’Acquino romano e di quello del medio evo, ed a quelle due epoche parimenti appartengono le celebrità della città.

Vanta pure Acquino un imperatore romano ma degl’infimi, Pescennio Nigro, il quale vi nacque in umile condizione al pari di Mario. Prode soldato, si distinse quale generale in Siria; dopo l’uccisione di Pertinace vestì la porpora, ma la dovette cedere ben tosto all’Afri-