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a sito di confine od a prigione. Non era però la solitudine la quale doveva riuscire dolorosa a Celestino, il quale aveva vissuta tutta quanta la sua vita quale eremita in una specie di deserto. Sebbene grandemente allettato da quelle memorie del medio evo, non potei però visitare Fumone, e mi contentai di contemplarlo sospeso alle rupi, quale un nido di briganti, sopra la mia strada. Proseguii questa superando due altri monti, e salendo sulla vetta di una terza altura, dove giunto, mi si presentò agli occhi un panorama di inarrivabile bellezza; di là si scorgevano tutti gli Apennini, la pianura, la catena dei monti più lontani e qua e là biancheggiavano borghi e città, fra le quali Vico e Guercino, che facilmente si discernevano in lontananza.

Di là la strada scende dolcemente nella fertile campagna di Alatri, la quale mi si presentò tutto ad un tratto in bello aspetto, dopo di avere girato una collinetta. Cavalcando attraverso mura annerite dal tempo, in uno splendido mattino di estate, fui rallegrato dall’aspetto pieno di vita della città, ricca di molte belle case del medio evo, le quali davano a capire come a quell’epoca la fosse stata in fiore. Non ho veduta altra città del Lazio, nella quale predomini cotanto nell’architettura lo stile gotico-romano. Alatri è il più gran centro d’industria e di commercio dei monti Ciociari; vi si fabbricano stoffe, tappeti, coperte di lana, e quelle giubbe, e quei capelli neri fatti a punta, che si portano in tutta la campagna di Roma. Era inoltre giorno di mercato, ed in tutte le strade si vedevano ammonticchiate le frutta di agosto, fichi, pesche, albicocche, pere voluminose, le quali facevano bellissima vista. Gli abitanti dei monti, alti di statura, nerboruti, con i loro abiti di colore scarlatto, coi sandali, con i loro cappelli guerniti di fiori, e piantati fieramente in testa, mi ricordavano che mi trovavo nel Latium ferox di Virgilio, la cui popolazione robusta ed energica mantenne tale carattere durante tutto intiero il medio evo.