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montata da una colonna di fumo; al basso Pompei, ed al di là i monti frastagliati di Sarno e di Nocera; a levante la spiaggia bruna di Massa, coi capi di Sorrento e di Minerva al di là il gigantesco monte S. Angelo, più oltre gli scogli delle sirene, e tutta la regione montuosa del golfo di Amalfi, e di Salerno; finalmente in lontananza i monti delle Calabrie, biancheggianti per le nevi, e la spiaggia da Pesto, al capo Licosa in Lucania.

Ad una tale altura, e con una tale vista davanti agli occhi, uno si sente quasi vivere doppiamente. Imperocchè è pur ristretta la cerchia dell’umana vita, tante sono le cose alle quali quotidianamente vi stringono, vi contrastano da ogni parte, vi condannano ad una lotta penosa, meschina, in un’orizzonte che sarebbe pure vasto. Se non chè ogni orizzonte è pur bello; come il contemplare dalla altezza della civiltà l’orizzonte del pensiero, delle scienze, delle arti, l’armonia che presiede all’ordine di tutte le cose create. In cima al monte Solaro io pensavo ad Humboldt, al cui genio, credo, andiamo debitori di trovare il mondo cotanto bello, cotanto mirabilmente ordinato; fissando poi lo sguardo sul Capo Miseno e sul Vesuvio pensavo pure a Plinio, l’Humboldt dei Romani, non che ad Aristotele genio veramente cosmico, ed ordinatore dell’umano sapere.

Lieto però di avere potuto contemplare tanto spettacolo delle armonie della natura, scesi di colassù, imperocchè il sole verso Ischia volgeva oramai al tramonto. Il mare si imporporava di già ad occidente, e l’isola di Ponza, la quale emergeva lontana e bella dalle onde, quasi giacesse in un’altra sfera di luce, rosseggiava dessa pure quasi fosse in fiamme. Addio pertanto, bella e romita isola di Capri.