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dal vino, dall’olio, dalle frutta. Quando viene a mancare il vino, come ora accade da ben tre anni, il vignaiuolo cade nella miseria, e stringe il cuore il vedere tutte quelle vigne spoglie di grappoli, lo udire le lamentazioni di tutta quella povera gente. Trovai donne, le quali mi narravano, sospirando amaramente, avere dovuto vendere tutti i loro ori, annella, orecchini, ed è pure questo segno della più grande miseria, imperocchè soltanto a caso disperato, una donna si spoglia delle sue gioie. Qui le portano di continuo, e fa strana vista lo scorgere povere ragazze occupate ai lavori più pesanti della campagna, le quali portano grandi orecchini d’oro, e catenella d’oro al collo. Sono questi i loro gioielli, spesso tutto quanto posseggono, se non che sono di poco peso, e l’oro non è del più legittimo.

Il bestiame non è abbondante a Capri, però se ne esportano annualmente un duecento capi sul Napoletano, ed anche il cacio dell’isola è tenuto in pregio. Nell’autunno e nella primavera, si nutrono in buona parte quegl’isolani di cacciagione. Passano a quell’epoca stormi di volatili, i quali si dirigono dal mezzogiorno al settentrione o dal settentrione al mezzodì, particolarmente di quaglie. Quei poveri uccelli, spossati dal lungo viaggio, cercano riposo su’ quegli scogli infidi, e vi son presi a schiere, uccisi, o vivi nei lacci. L’isola del resto non ha selvaggina, nè animali da cacciare, che le sia propria; non vi sono nè volpi, nè martore, soltanto una sterminata quantità di conigli, i quali di nottetempo escono dalle fessure delle roccie, e prelevano nei campi un largo tributo sulla miseria dei poveri coloni. I conigli sono il flagello dell’isola, e meriterebbero pagare a caro prezzo il fio della loro vita di rapina.

Il mare è quello che procura reddito più sicuro agli abitanti di Capri. I pescatori vi trovano pesci di ogni specie, anche tonni, pesci spada, murene bellissime, e sovratutto poi sardelle e seppie, dette volgarmente calamai. La pesca vi si pratica per lo più di nottetempo. I pescatori