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galera la quale portava Caligola da Astura in Anzio, e ciò venne considerato quale presagio del prossimo suo fine.»

Astura mala terra, maladetta! Anche noi, peregrini innocenti, doveva costringere a precipitosa fuga, a noi pure doveva far provare ambascie di morte.

Allorquando lasciammo Astura, decidemmo di non prendere più la strada lungo il mare, ma a traverso la foresta, di cui avevamo udito lodare grandemente la selvaggia bellezza. Non conoscendola, tolsimo con noi un soldato del piccolo distaccamento, bel giovane di corporatura atletica, il quale ci doveva servire di guida per alcune miglia, e prestarci contemporaneamente assistenza, non già contro i briganti, ma bensì contro i tori ed i buffali. Piegammo a destra, camminando per un certo tratto lungo la spiaggia, dove potemmo vedere tori neri di tanto maestoso aspetto, che Giove non avrebbe potuto averli migliori, allorquando portava in mare la bella Europa. Poco dopo ci trovammo nell’interno della foresta. Camminavamo per ameni sentieri, fra odorosi cespugli di mirti, sotto la volta di quercie gigantesche, rallegrati dai mille accidenti di luce del sole che volgeva al tramonto. Era propriamente una bella foresta. Pensavo a quelle delle mie spiaggie natìe, alle sue quercie dritte, ed altissime, fra i tronchi delle quali si può scorgere l’azzurro del mare; tutti i miei pensieri erano rivolti al passato. È puro bello aggirarsi in que’ boschi; spiando la comparsa dei cervi e dei caprioli, quando sboccano dai cespugli, e vi contemplano con curiosità, alzando il loro capo coronato di lunghe corna; qui per contro, balza talvolta fuori dal bosco la testa nera, diabolica di un buffalo o di un toro, animali selvaggi, e talora vi attraversa il sentiero una lunga schiera di serpi variopinti. La vegetazione è di una bellezza e di un vigore tropicale. L’edera circonda le quercie, tronco contro tronco, ed io stavo ammirando tale spettacolo, che non avevo finora visto altrove, imperocchè l’edera raggiunge quivi le proporzioni di un albero, si ab-