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esso è recisamente indicato, così nel corso dell’atto, come nella sottoscrizione, un Leo cpiscopus Grumcntinus, senz’altro titolo.

Or questo documento non é per noi soltanto sospetto; ma non gli prestiamo nessuna autorità, perchè o non è genuino nel suo intero contesto, o non fu esattamente trascritto in tutte le sue parti.

Senza volerci appoggiare alle due volte ripetute affermazioni dell’Ughelli, che questo Leone è detto in certe carte vescovo di Grumento, e in certo altre vescovo di Marsico (ed è il caso di un testimone che alle volte affermasse bianco ed alle volte nero), io osservo che, nel corpo del documento, il vescovo che dona dice: Sacra ecclesiae nostrae S. Georgii autoritate.

Or la chiesa di San Giorgio è titolo della chiesa cattedrale di Morsico (vedi docum. n. 6) o non di Grumento, o di Saponara che fosse. Come dunque spiegare che Marsico avrebbe avuto una cattedrale sua propria, e non avrebbe dato il suo titolo al vescovo? E poiché questo titolo di Marsico1 è già riconosciuto fin dal 1058 nella bolla di Stefano X, come mai cotesto titolo avrebbe potuto essere del tutto omesso in un atto del suo vescovo del 1123? Come spiegare la disformità di quosto atto, sia ai più antichi del 1095 e del 1097, sia all’atto stesso del 1144? In tutti questi documenti la indicazioue, come si è visto, è duplice; se il vescovo è detto sedis grumentine, non si manca però di dirlo altresì, almeno nella sottoscrizione, episcopus marsicanus. E in tutti cotesti documenti è parola di un episcopus sedis grumentine, e non di un episcopus grumentinus, che ha significato di più ampia portata. Come dunque prestar fede ad un unico e reciso titolo di episcopus grumentinus nell’anno 1123, quando Grumento non esisteva più da almeno un secolo e la sede era in Marsico da ottant’anni a un bel circa?

Il documento adunque del 1123, come oggi si legge, non è genuino.

Mi si opporrà che il titolo in quistione del 1123 si trova confermato nell’agiografia potentina di scrittore, si dice, contemporaneo (n. 4). Ma cotcsta contemporaneità doll’agiografia potentina è ben altro che superiore ad ogni sospetto; e occorre di farne parola.

  1. Italia sacra, vol. VII. col. 197-198.