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lontane, di un azzurro più oscuro ma più vaporoso. Dal sito ove stava Jorgj si scorgeva appena il tetto della cantoniera, dal cui fumaiuolo si innalzava una lunga spira di fumo diafano, ma non si vedeva punto la capanna dei pastori, molto più lontana, nell’interno fitto del bosco.

Lo stradale serpeggiava per la pianura, fra i boschi, come un alveo asciutto e disseccato dal sole, e l’erba cresceva ai suoi lati ancora alta e bella, perchè la greggia, che possedeva tanto pascolo nell’interno della pianura, non si era avanzata sin là.



Nania non veniva, Nania non compariva più. Gli occhi di Jorgj, che poco prima splendevano in un modo insolito al pensiero del bacio che avrebbe dato, volere o no, alla sua piccola innamorata, andavano rabbuiandosi sempre più e quasi si velavano di lagrime. Ah, San Giorgio mio, qualche cosa doveva esser successo. Forse Nania era malata, forse zio Gavinu, avea fiutato qualcosa e non la lasciava più andare all’acqua, forse..... Jorgj si disponeva a lasciar il suo posto di attesa e recarsi alla cantoniera, con qualche pretesto, come ci si recava sempre, quando udì il galoppo di due cavalli, e vide passare, avvolti in un leggero nembo di polvere due bei signori a cavallo, che non si degnarono neppure di guardarlo.

Deledda, Racconti Sardi 9