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tero a farli proseguire, accompagnati, per Firenze dove io li accolsi nella mia casa di Via San Frediano.

La stessa sera i Richmond, ansiosi di ritrovare il loro piccino, col primo treno in partenza se ne tornarono a Roma.

La Polizia non tardò molto a conoscere la parte che aveano avuta i Richmond nella scomparsa da Roma di madre e figlio Monti. Non li inquietò e, d’altra parte, per farlo non avrebbe avuto alcun motivo legale. Ma, ciò malgrado, non mancò di sottoporli, per non poco tempo, ad una riguardosa ma assidua sorveglianza. Lo esser, così, tenuti in sospetto assai divertiva i due giovani ed allegri sposi.

XLI.

A FIRENZE ED ALL'ARTE.


Dopo tre anni e più, durante i quali la cospirazione per liberare la città ove io nacqui mi aveva tanto conteso all’Arte mia, gli avvenimenti mi riconducevano, ed ora più stabile che mai, a Firenze; dove, come dissi, ero andato col proposito di restarci solo una settimana e che, invece, fu la città nella quale, — per più di dieci anni: fine del ’59 agosto del’70 — io abbia più a lungo dimorato.

Alle amare delusioni provate fu non poco sollievo ritrovarmi in un ambiente artistico assai vivo ed interessante, il poter ridarmi tutto all’Arte in piena libertà, senza altra preoccupazione ed altri impegni. I fatti dolorosi, che ho narrati, alimentarono per non poco aspre polemiche ed accanite lotte politiche di parole. Tutte cose che non potevano essere affar mio.

Questa mia lontananza da Roma diventava per me vero e proprio esilio. Io mi ributtai al mio lavoro. Avevo, da alcuni