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avean trovato buon giuoco i Mazziniani, i quali riordinavano le loro file, che s’ingrossavano dei delusi di quello e formavano in Roma il «Comitato di Azione»; il quale vi agiva in senso nazionale ma rigidamente repubblicano.


Questo era lo stato delle cose di Roma, quando io da Parigi, negli ultimi mesi del 1863, feci ritorno a Firenze.

I lagni erano generali, per quello, fra tutti gli emigrati romani. Gli elementi garibaldini erano irrequieti e vogliosi di ricominciar ad agire; ma s’era a poco più di un anno da Aspromonte... Nonostante, il Governo moderato aveva paura di Garibaldi e dei suoi. Tanto che, qualche mese dopo, ci fu il tentativo per indurre Garibaldi stesso a capitanare una spedizione sul Danubio, con la segreta speranza, forse, che non ne tornasse più!...

Non lieto di queste cose, me ne confortavo con l’Arte. Dopo aver lavorato intensamente tutta l’invernata e parte della primavera, tra Firenze e Bocca d’Arno, io mi disponeva a tormarmene in Francia, quando fui sorpreso dalla visita di Checchetelli. Il quale, pur essendo stabile a Torino, non avea mai cessato di essere da tutti riconosciuto capo del movimento nazionale in Roma; movimento che avea il proprio organo nel «Comitato Nazionale Romano». Checchetelli mi disse dei gravi malumori tra gli emigrati contro i maggiorenti dei rimasti a Roma. E ciò non era nuovo per me. Mi disse ancora che egli riteneva che, comunque, il C. N. R. dovesse riordinarsi e rianimarsi. Terminò col propormi che io andassi celatamente in Roma con i suoi pieni poteri, con l’incarico di indagare sul posto il vero stato delle cose; specialmente di appurare le tante accuse che si muoveva dagli emigrati contro i dirigenti locali del Comitato. Sarebbe stata sua cura di far che a Roma venissi ascoltato ed obbedito come lui stesso. Perchè avrei dovuto fermarmi, comunque, in Roma e prender, almeno per qualche tempo, nelle mie mani le redini del C. N. R.

Tale incarico era di quelli che non si ricusano. Ed io, senza esitare, lo accettai.