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a bere. Egli si prese una solennissima sbornia, che i suoi compagni chiamavano ciucca; e da quella sera ce la intendemmo magnificamente.


Il mio reggimento mai si accostò, durante tutta la guerra, ai luoghi ove si combatteva. Ci aggirammo, del continuo, intorno a Torino. Il solo diversivo alla vita uggiosa che si menava erano non rare gite in questa capitale. Ma, a parte che la città era mediocremente interessante per me, tali gite non potevano affatto essermi di compenso al non trovarmi al fuoco.

Quante volte sentii il rammarico di non essere andato con Garibaldi, delle splendide gesta del quale ci giungevano le notizie!...

L’armistizio di Villafranca, che lasciava Venezia nelle mani dell’Austria, sopraggiunse ad aggiungere ben più amara delusione alle tante delusioni che mi eran toccate in quella campagna.

Se fino ad allora la vita del reggimento m’era assai poco piacevole, dopo Villafranca divenne per me addirittura tormentosa. Tanto ero io divenuto bramoso di riavere la mia libertà, che, non appena ottenuto il congedo, immediatamente scappai dalla caserma e da Pinerolo. E, pur di non trattenermivi un sol minuto di più, abbandonai il mio cavallo, il bravo «Nonno», nella stalla reggimentale a chi se lo volesse prendere.

E, via a Torino!...