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per poco, non mi condusse nel mondo di là. Si trattava di una assai grave congestione polmonare, tanto grave che mi si dava per caso disperato. La mia cara madre era in grande dolorosa ansietà, così per la mia vita come per la salvezza dell’anima mia. Per quanto ripugnassi dai sacramenti di una religione nella quale mai io ho creduto, pure non volli far maggiore lo strazio di mia madre; ed, unicamente per questo, mi acconciai alla confessione ed a ricever l’Olio Santo.

Però, quando il prete fu al mio capezzale per ricever la mia confessione, e mi trovai a faccia a faccia solo con esso, risoluto gli dissi:

— Noi siamo due filosofi, non è vero? Perchè abbiamo da infastidirci!...

Il prete, che era un bravo ed intelligente uomo, capì che sarebbe stata vana con me ogni sua insistenza. E mia madre fu contenta.

Questa mia grave malattia, data anche la molta notorietà della mia famiglia e mia, destò in Roma non poco interesse. Ne fu motivo ch’io venni, in tal circostanza, curato omeopaticamente. E questo non già perchè io avessi maggior fiducia in questo che nell’altro metodo. Ma ero amico di un singolare tipo, tal dottor Ladelci medico omeopatico. E volli farlo contento, lasciando che egli mi curasse come meglio gli piacesse; sicuro che ero che la mia vita e la mia morte ben poco potesser dipendere dal modo di curarmi.

La stranezza del caso faceva che tutti, pur nelle alte sfere, si interessassero alla mia sorte. La mia partecipazione al moto nazionale, l’essermi messo, benchè di ricca famiglia, a fare il pittore, il mio modo di vivere, dai più mi facean tenere per una testa sfasciata. E la cura ch’io avea scelta confermavano tal generale giudizio sulla mia persona. Lo stesso Pio IX seguiva con interesse il mio destino, di questo ribelle rampollo di una famiglia religiosa e fedelissima; e domandava ogni giorno che ne fosse di me. Cosicchè, quando apparve ch’io mi fossi acconciato ai sacramenti, ed i miei implorarono per