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«Fabbri ferrai!

«Cessate di far triboli. La Patria ne ha abbastanza».


I reggitori, però, come si sa, decidevano che non dovesse esercitarsi la estrema difesa di Roma sulle barricate nelle vie.


Il Governo repubblicano non volle trattar esso, con i Francesi, la resa della città. Per questa interamente se ne rimise al Municipio.

Io, del Municipio facendo parte, non mancai di trovarmi al mio posto quando venne il côrso Filippi, capitano di artiglieria, che fu il primo dei Francesi entrati in città. Egli parlò molto scioltamente in italiano. E, fra tante cose, disse che l’artiglieria francese non vedeva il momento di abbracciare ed onorare leroica artiglieria romana.

E, dicendo «eroica» all’artiglieria romana, non può dirsi davvero che egli esprimesse un vacuo complimento.

Non appena la resa di Roma fu nota alla plebe, questa subito si gettò su le barricate a rubarne il legname. Oscenamente le donne festeggiavano i Francesi gridando:

— Evviva, evviva, adesso torneranno i nostri padroni!

Andato al quartiere della Guardia Civica in Santa Maria in Trastevere, trovai la Guardia che faceva la parata allo sfilar delle soldatesche nemiche. Ne era alla testa un sergente con la medaglia di Vicenza. Gliela strappai dal petto; e comandando «fianco destro per fila destra» mandai i militi in quartiere. Qui vi era l’aiutante maggiore, che indispettito mi si volse domandandomi:

— Comanda lei?

— Per tutt’oggi io — risposi — domani voi.


Me ne andai poi al Corso. Nel portone di palazzo Sciarra trovai un prete sventrato con le budella avvolte attorno al collo. AI Caffè delle Belle Arti, sotto palazzo Fiano mentre sfilavano i Francesi vidi il dott. Diomede Pantaleoni. Il popolo