Pagina:Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu/160


eugenio anieghin 119

spazi intorno a me nelle ombre trasparenti della sera e ti chini pietoso sul mio letto? Non sei tu che mi susurri all’orecchio parole di speranza e d’amore? Chi sei tu? Il mio angelo tutelare o il mio perfido tentatore? Dissipa la mia incertezza. Forse tutto ciò è menzogna vana, allucinazione d’una fantasia esaltata. E così sia. D’ora innanzi, io rimetto la mia sorte nelle tue mani. Ho sparso le mie lacrime nel tuo seno e imploro il tuo sostegno.... qui, sono sola.... nessuno mi comprende; la mia ragione vacilla; io perirò tacendo. Ti aspetto. Ravviva col tuo sguardo le mie speranze o sperdi le mie illusioni tacciandole di delitto.

»Finisco. Vi sembrerà strano il mio linguaggio — mi sento svenire dalla vergogna e dal terrore — ma la vostra onoratezza mi rassicura e in essa confido.»

Taziana ora geme, ora sospira. La lettera trema nella di lei mano. L’ostia rosata si secca sulla sua lingua inaridita. La vezzosa piega il bel capo e a quell’atto la sua camicia cade dalla bianca spalla. In quel punto, la luna si ritira sotto un velo di vapori. Taziana guarda e ascolta. La valle s’ammanta di nuvole; il torrente risplende come un nastro d’argento; il corno dei pastori desta i contadini; l’alba brilla tutti si alzano. Taziana non bada all’aurora. Sta seduta colla testa bassa. Non si sa risolvere a stampare il suo sigillo sulla lettera. La serva Filippevna dal crin grigio, arreca il tè sopra un vassoio.

“Lèvati,” sclama, “lèvati, figliuola cara; è tardi.... ma che miro? sei bell’e vestita! O cara lodo letta mattutina! Che paura mi mettesti ieri sera! Ma