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eugenio anieghin 97

tilla poetica, e quantunque dovizioso, non arrossiva di coltivar le muse. Celebrava nelle sue rime i generosi sentimenti, l’entusiasmo giovanile e l’aurea semplicità; suddito d’amore, cantava l’amore; e i suoi canti eran puri come i pensieri d’una vergine candida, come il sonno d’un fanciullo nella culla, come, in un ciel sereno, il raggio della luna, regina dei sospiri teneri e misteriosi. Egli cantava la separazione, la melancolia, la crudele assenza, la fragranza delle rose, il fiore di sua gioventù appassito in sulla diciottesima primavera e i lontani paesi ove in seno della solitudine egli aveva sparso tante amare lacrime.

In quelle triste campagne, Eugenio solo poteva valutare i meriti di Lenschi, il quale fuggiva con premura i tumultuosi banchetti dei possidenti circonvicini, le loro conversazioni serie intorno al vino, alla raccolta del fieno, ai loro cani e alla loro famiglia. Dalla natura degli argomenti, si può desumere che i discorsi di quei barbassori non ridondavano nè di estro poetico, nè di delicatezza, nè di acume, nė di lepidezza, nè di urbanità; ma il consorzio delle loro carissime mogli era molto più sciocco ancora.

Ricco dei beni della fortuna, e leggiadro della persona, Lenschi veniva accolto in ogni casa come s’accoglie un genero futuro. Tale è la consuetudine dei villaggi moscoviti. Tutti i padri serbano le figlie per il signorino mezzo russo.1 Subito che egli entrava, la compagnia si metteva a ragionare degli incomodi della vita celibe. Se invitavano Lenschi a prendere una tazza di tè, la Dunia era incombensata di me-

  1. Cioè che per educazione è francese o tedesco.