Pagina:Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu/132


eugenio anieghin 91

questa veridica istoria. Ma quando Eugenio giunse al villaggio dello zio, trovò il buon vecchio già basito e in procinto di andarsene sotterra.

Il cortile era pieno di servitori. Da ogni banda accorrevano amici e nemici per godere della vista dei funerali. Si seppellì il defunto. I preti e i curiosi gozzovigliarono in suo onore, e quindi, ben pasciuti, si ritirarono con gravità e sussiego, come persone che han compito un dovere sacrosanto. Ecco Anieghin divenuto campagnuolo, possessore assoluto di manifatture, di canali, di selve, di poderi, esso, fin ad ora, scialacquatore di prima riga, e recalcitrante ad ogni freno! Eccolo che consente a trasformare il suo antico vivere disordinato in una esistenza regolata e sicura.

Per ben due giorni interi la solitudine dei campi, la frescura crepuscolare dei querceti, il mormorío d’un placido ruscelletto, gli tornarono a genio. Nel terzo giorno, i boschi, i poggi, le valli, non lo dilettarono più tanto; anzi gli cagionarono un tedio mortale. Finalmente s’accorse e fu convinto, che la noia penetra anche nelle borgate rustiche, quantunque non vi si trovino nė strade, nè palazzi, nè carte da gioco, nè feste di ballo, nè poesie. L’ipocondria accompagnava Eugenio in ogni luogo, e lo inseguiva come una ombra, o una sposa fedele.

Io son nato per la vita quieta, per la calma delle ville. Il suono della cetra pare più melodioso in quel silenzio; le visioni della mente son più vive. Ivi mi pasco d’innocenti piaceri, navigo sul liquido cristallo d’un lago; nè conosco altra legge, che il dolce far niente. La libertà e la mollezza occupano le mie