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412 il morgante maggiore.

37 E come Carlo la gittò nel mare,
     E il dì della battaglia dolorosa,
     Si vede sopra l’acqua galleggiare,
     E mostrasi ancor tutta sanguinosa;
     E s’alcun va per volerla pigliare,
     Subito sotto si torna nascosa.
     Tutto esser può, ma, come caso nuovo,
     Con la mia penna non l’affermo o approvo.

38 Credo che al tempo di que’ paladini,
     Perchè la fede ampliasse di Cristo,
     Sendo molto potenti i Saracini,
     Molte cose a buon fin permesse Cristo;
     Che se non fusse stato a’ lor confini
     Carlo a pugnar per la fede di Cristo,
     Forse saremmo ognun maumettisti:
     Ergo, Carole, in tempore venisti.

39 Parmi Carlo e Domenico e Francesco
     Abbin tanto operato per la fede,
     Con le dottrine e col valor francesco,
     Ch’io dirò forse che per lor si crede;
     Chè il popol de’ Cristiani stava fresco,
     Se non che Iddio a’ buon servi concede,
     Perchè ogni cosa è da lui preveduto,
     Sempre al tempo opportun debito aiuto.

40 Io mi confido ancor molto qui a Dante,
     Che non sanza cagion nel ciel su misse
     Carlo ed Orlando in quelle croce sante,6
     Che come diligente intese e scrisse;
     E così incolpo il secolo ignorante,
     Che mentre il nostro Carlo al mondo visse,
     Non ebbe un Livio, un Crispo, un Justin seco,
     O famoso scrittor latino o greco.

41 Ma perch’io dissi altra volta di questo,
     Quando al principio cominciai la storia,
     Forse tacere, uditor, fia onesto,
     Poi ch’io ho collocato in tanta gloria
     Carlo ed Orlando: or basti, sia per resto,
     Perchè e’ non paia vanitate o boria,
     A giudicar de’ segreti di sopra,
     Quel che meriti ognun secondo l’opra.