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canto ventesimosecondo. 143

4 Rinaldo disse col suo Aldinghieri:
     Colui, che vien dinanzi, è Galliano;
     Quell’altro, c’ha sì magro il suo destrieri,
     Non so chi sia; incontro loro andiáno.
     Vanno costoro, Alardo, e Ulivieri,
     Guicciardo, e Malagigi, e Greco, e Gano:
     E salutato in linguaggio francesco,
     Astolfo e ’l Conte risposon moresco.

5 Rinaldo cominciò prima a parlare:
     Se tu se’ Gallian, com’io mi stimo,
     Che Chiaristante facesti ammazzare,
     Perchè io domando, a parlar sono il primo:
     Con che ragion puoi tu giustificare,
     E cominciam da sommo, o vuoi da imo,
     Che Chiaristante a ragion fussi morto?
     Chi non conosce tu gli hai fatto torto?

6 Ma lasciam questo; la sua meschinella
     Filiberta pel mondo spersa mandi;
     Dimmi c’ha fatto o meritato quella?
     Or vo’ che sappi, pria che tu domandi,
     Che la città con tutte sue castella,
     Se tu non vuoi che questa lor comandi,
     Anticamente son qui di costui,
     Ed ogni cosa s’appartiene a lui.

7 Da tutte parte tu non puoi tenere
     Questa città, chè la ragion non vuole;
     E bench’io sia Cristian, pur pel dovere
     Mi muovo a questa impresa che mi duole:
     Piglia del campo a tutto tuo piacere,
     E così sien finite le parole.
     Astolfo gli rispose: Aspetta un poco,
     Non ti partir sì tosto ancor di giuoco.

8 Non si dic’egli: ascolta l’altra parte?
     Rinaldo, tu dè’ aver poca faccenda,
     E vien con certa astuzia e con certa arte,
     Che tu non credi Galliano intenda:
     La lancia suol valer più che le carte.
     Questa pietà non so donde ti prenda,
     Se ciò non fussi per amor di dama:
     Questa fia la cagion che qua ti chiama.