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canto decimoquinto. 309

39 Orlando volle in prigion ritornarsi,
     E rende Durlindana e l’armadura,
     E sta con Chiariella a ragionarsi.
     Or ritorniamo al campo alla pianura:
     Corante l’altro giorno fece armarsi,
     Dicendo: Io intendo provar mia ventura;
     Ed accostossi alle mura alla terra,
     E mandò a dir che cercava di guerra.

40 Aveva cinquecento scelti quello
     De’ miglior ch’egli avessi nel suo campo;
     Era montato in su ’n un suo morello
     Nato d’alfana, e menava gran vampo,
     Chiamando l’Amostante tristo e fello,
     Dicendo: Contro me non arai scampo,
     Nè triegua, o pace, o patti, nè concordia,
     Ch’uom non se’ degno di misericordia.

41 Erano usciti già certi Pagani
     Della città col gigante alla mischia,
     Ma tutti gli straziava come cani;
     A qual le spalle, a chi il capo cincischia,5
     Colpi menando sì aspri e villani,
     Che per paura nessun più s’arrischia
     A dieci braccia accostarsi alla mazza;
     E bisognava, con sì fatta razza.

42 Chiariella sentì che ’l Saracino
     A molti il capo ha schiacciato com'uova,
     E fa fuggire il suo popol meschino;
     Subito Orlando alla prigion ritruova,
     E dice: A questa volta, paladino,
     Aiutami, poi ch’altro non mi giova;
     Sappi ch’egli è comparito un gigante,
     Ch’ammazza ognun che se gli para avante.

43 A te ricorro come mio refugio,
     Che non mi lasci in questi casi stremi;
     E’ debbe avere un poco il cervel bugio,6
     Ch’ognun minaccia, e ’l ciel non par che temi;
     E’ ti convien soccorrer sanza indugio,
     Chè tutto il popol nostro par che tremi,
     E per paura ognun tornato è drento,
     Chè del bastone hanno avuto spavento.