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canto nono. 167

33 Noi v’abbiam degli amici e de’ parenti,
     Tu ti potrai fermare in su la piazza;
     E mosterem far giostre e torniamenti,
     E ’ntanto farem metter la corazza
     A’ più fidati, che ne fien contenti:
     Tu terrai a bada quella gente pazza,
     E tutti saran presi così in zurro.17
     Ed ora il nome mio saprai, Faburro.

34 Allor Rinaldo rispondeva a quello:
     Prima ch’io t’abbi, Faburro, risposto,
     O mentre i miei compagni a questo appello,
     Parmi tu fermi questa gente tosto:
     Vedi che vanno via com’un uccello,
     Un mezzo miglio già ci son discosto,
     E sanza lor non si può far niente.
     Disse Faburro: Tu di’ saviamente.

35 E cominciò a spronare un suo giannetto: 18
     Rinaldo Orlando chiamava e Dodone
     E Ulivieri, e contava ogni effetto:
     Orlando orecchio alle parole pone,
     E intese ciò che quel Pagano ha detto;
     E disse: Forse Dio sanza cagione
     Non ci ha mandati in questa parte strana,
     Ma per ben sol della Fede cristiana.

36 Ma si dolea ch’e’ non v’era con loro
     Morgante, il quale ha lasciato Ulivieri
     Colla figliuola del re Caradoro;
     Ch’era rimaso con lei volentieri,
     Per aspettar che tornassin costoro;
     Ed anco parve al marchese mestieri,
     Perchè il figliuol di lui, quando nascessi,
     Re Caradoro uccider nol facessi.

37 Meridiana avea chiesto il gigante
     A Ulivier per un segno d’amore,
     Per ricordarsi del suo caro amante,
     Poi che montato fu in sul corridore.
     Ed Ulivieri avea detto a Morgante:
     Ben puoi restar dove resta il mio core;
     Ritornerotti a veder con Orlando,
     E ’l mio figliuolo e lei ti raccomando.