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la ridda, durante la quale suonano gatti neri, e quando esse sono stanche, vanno a tavola, ove non mancano bevande e pietanze squisite, tutte però senza sale. Se durante il banchetto arriva per accidente qualcheduno, egli viene servito di cibi, deve però prometter il segreto e povero lui, se non mantiene la promessa.

La tregenda può esser disturbata, se colui, che è giunto di fresco, pronunzia qualche nome sacro; in tal caso si ode uno scoppio uguale a quello del tuono, tutto sparisce in un’attimo ed un nero fumo, che si alza e va sparendo nell’aria, è il solo indizio, che un’istante prima dominava qui sfrenato giubilo. Se all’contrario le streghe possono continuare la loro festa senza esserne disturbate, questa dura sino allo spuntar del giorno del venerdì — giacche i conventicoli regolari hanno luogo la notte del giovedì al venerdì — , al primo tocco della campana, quando questa suona l’Avemaria, tutte friggono a precipizio e svaniscono; perciò le campane sono molto odiate dalle streghe, tanto piti che non mancano casi, in cui le streghe durante le loro operazioni magiche vengono colpite da campane così bruscamente, che ne rimangono zoppicanti per tutta la vita. — Quanto fu detto fin qui, sebbene appartenga al novero delle idee superstiziose, tuttavia non possiamo chiamarlo superstizione nel vero e pieno significato della parola; non è per così dire, che un’efflusso, un’emanazione di questa. Evvi un’altra specie di superstizione, la vera superstizione passiva, della quale dice Grimm1: „Se all’uomo, senza che vi cooperi egli stesso, dall’alto vien fatto vedere qualche segno sorprendente, egli ne deduce fortuna o sfortuna.* A questa vanno annoverati anzi tutto gli indizi della morte, come per esempio quello, che dessa colpisce alcuno di quella casa, nella cui vicinanza un’uccello notturno, in modo speciale il gufo«) 2, fa sentire il suo grido lugubre 3, oppure che essa si annunzi con

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  1. cfr. Grimm, Mythologie IL p. 1059.
  2. cfr. Ovid. mei 5,550;

    Foedaque fit volucris, venturi nuntia luctus
    Ignavus bubo, dirum mortalibus omen,

  3. cfr. Grimm, Mythologie IL p. 1088. — Elsensohn, Sagen und Alton, Anneddoti. 2