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la comune de’ critici leva la fronte, e gl’intelletti privilegiati soffrono lunghi e noiosi interrogatorii.

Chi ama nel proprio lavoro la corrispondenza di esso coll’archetipo generale che gli somministra la fantasia, è quegli l’artista; chi studia il gusto dominante, o i proprii bisogni, per assoggettare ad essi l’opera che ha per le mani, costui è lavoratore meccanico. Per questa parte potrebbe credersi artista il fabbro-ferraio, il muratore, o altro tale, in preferenza dello scultore e dell’architetto. Non si credano condannati per altro gli onesti guadagni che un uomo d’ingegno si studia ritrarre dall’arte propria; altro è ciò che intendiamo, dicendo che i bisogni proprii non vanno studiati nelle composizioni dell’ artista.

Così pure quando si è detto che non si abbia a dar retta al gusto dominante, non s’intese già dire che l’artista abbia a rimauersene per certa guisa segregato dal consorzio de’ suoi contemporanei. Tanto è lunge che da me s’intenda mai questo, che anzi considero nelle arti una viva rappresentazione, e quasi una storia tradizionale dei bisogni e delle opinioni prevalenti ne’ varii secoli e presso le varie nazioni. Altra cosa è rappresentare le condizioni nelle quali si giace il proprio paese, altro rimanere da esse soggiogato nell’esercizio dell’arte. La prima di queste due cose è virtù; è la nota più certa onde sceverare dal-