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menti quelle tanto gravose armature. La stoltezza poi di quegli scrittori, i quali, ad ogni ancorchè minimo ribollimento di umori, si credono predominati dallo spirito della Sibilla per vaticinare il futuro (ed è credibile ch’altro non abbiano i loro carmi del sibillino fuorchè la rapina e la dispersione che ne fa il vento); quella stoltezza dico egregiamente era sferzata dal Gozzi, nel sermone all’abate Martinelli, coi seguenti versi, che trascrivo a rincalzo e ornamento di questo articolo.

     Ecco, in principio alcun sente nell’alma
     Foco di poesia. Sono poeta,
     Esclama tosto: mano a’ versi; penna,
     Penna ed inchiostro. E che perciò? vedesti
     Mai, Martinelli mio, di tanta fretta
     Uscire opra compiuta? Enea non venne
     In Italia si tosto, e non si tosto
     11 satirico Orazio eterno morso
     Diede agli altrui costumi. I’vidi spesso
     Della caduta neve alzarsi al cielo
     Castella e torri, fanciullesca prova
     Che a vederla diletta: un breve corso
     Del sol la strugge, e non ne lascia il segno.
     Breve fu la fatica, e breve dura.