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der conto delle proprie opinioni, dacchè tanto è dire non intendo, quanto non sono obbligato a disputare sopra questo argomento. Ho conosciuto certe coscienze stranamente scrupolose, alle quali sarebbe sembrato un gran male il profferire veruno espresso giudizio circa i loro fratelli, quando non avevano rimorso alcuno di conquidere con una sentenza indiretta la loro fama. Il modo onde giovansi questi cotali egli è appunto di chiamare misteriose le persone e le opere, ciò ch’è in apparenza dir nulla, e dir tutto in sostanza. Come vive il tale? - Davvero non saprei dire; la condizione sua mi è un mistero. Lascio pensare a chi ha discrezione d’intelletto, quali conseguenze derivino da siffatta risposta. Come può essere che Camillo sia amico a Fulgenzio? - Nessuno l’intende ed io meno degli altri. Povera amicizia di Camillo e di Fulgenzio, fatta soggetto di mille sinistre interpretazioni! Ma riduciamoci, com’è nostro costume, a parlare di soli gli scrittori. L’applicazione di quanto diremo ad altri argomenti che non siano letterarii è pianissima: e può essere fatta da chicchessia se ne voglia prendere una piccola briga.

Quando io leggo un libro e non l’intendo, do dell’asino a me solo; rileggendo e durando tuttavia l’oscurità, divido l’asinità per eguali porzioni fra lettore ed autore; fatta la terza lettura infruttuosamente, rigetto tutto il carico addosso a chi scrive e non ha l’arte di farsi capire. Que-