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fettazione, solo che si voglia considerare l’orazione, la lettera, il poema o altro checchessia, con occhio maligno ed illiberale? E notate che non mi sono ad altro fermato fuorchè ad alcuni punti generali di definizione, di confronti, di esempi; come chi scorre pel campo alla stagione della messe, e, quasi a diporto, mena il bastone ad abbattere i papaveri che rosseggiano a luogo a luogo, e sormontano le spiche omai prossime a maturare. Se avessi voluto discorrere dello stile! Ed uscendo di questa perenne materia degli studii, e distendendomi sul parlare, sul vestire, sul camminare, e sopra quanti mai sono i particolari del nostro vivere, qual misura d’ampio e ponderoso volume sarebbe bastante a far compiuta la trattazione dell’argomento? Non vi spaventate; chè lungi dall’indugiarvi in queste lungherie, ho per ottimo il tacito consiglio del calamaio, che non dà più, salvo scarso, di che continuare ad intridere il foglio.

Addio dunque, lettori miei cari: eccovi un sa luto che è, o almeno spero, libero da ogni guisa di affettazione. Non cosi tutta questa scrittura, la quale se credete procedere da una mente sgombera di pensieri, e insofferente del meditare, v’ingannate a partito. Ho affettato il disinvolto, il trascurato, in questa chiacchiera più assai che nell’altre, ma non voglio tacervi che io venni a questa vacuità d’idee dopo avermi stillato il cervello, e accumulato argomenti sopra argomenti,