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determinata. Fermiamoci quindi a discorrere del modo ond’essa si considera generalmente da diversi generi di persone, e vediamo se tenendo questo modo indiretto ci vien fatto di carpire alcuna utile deduzione.

Mi sembra che in tre guise diverse, da tre diverse specie di genti si faccia ragione della bellezza. Sono in primo luogo di quelli che considerano la bellezza in sè stessa, assolutamente, ossia secondo alcune regole generali ed astratte, che applicano all’uopo con pertinace esattezza a qualsivoglia l’oggetto che loro si offra da giudicare nel proposito della bellezza. E questa la noiosissima generazione dei pedanti, che armati di certi loro principii, cui chiamano norme infallibili di bellezza, rimangono inflessibili a sentenziare secondo quelli la bontà e malvagità d’ogni opera d’artista. Non veggo a chi meglio che a costoro possa riferirsi l’antichissima favola dell’inumano Procuste, e del suo inumanissimo letto. Vanno costoro a vedere un quadro, una statua? Sfoderano subito, come appunto gli avessero in tasca, i bei paroloni di concorso di linee, sbattimenti d’ombre e di luce, partito, panneggiamento, risalto, e più ch’altro quel terribile costume, tanto facile ad essere offeso da’ gran maestri, quanto ad essere osservato da’ picciolini; e dove alcun che sporga o rientri dalla misura, gridano subito la croce addosso all’artista, il quale, tutto che non intenda quel gergo, e