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il tratto di Tiburzio, ma non potete a meno di sentirvi l’esitazione per la quale passò la sua anima prima di adagiarsi in quella nobile volontà. Sofronia non dice male di chicchessia, a voler esser giusti; ma ci vedete nel suo discorso la continua propensione a farlo, e il continuo contrasto in cui è colla propria lingua. Se fa l’elogio di qualche persona, come per verità non manca di fare assai volte, voi ci trovate sempre uno staccato, un contorto in quelle sue riprese frequenti, in quella lentezza con cui pronunzia certe parole, quasi meditando le successive, che vi fa presumere l’ommissione di qualche idea interposta, o per lo meno la non sempre completa espressione delle manifestate. Bisogna pur fare qualche caso anche del tempo, il quale, da volere a non volere, è pure in qualche guisa dominatore dell’uomo; e sovente tra l’intenzione e l’atto frapponendosi Pesitazione, questa, tuttochè inattiva, ha forza di rodere le altre due, di lor natura attivissime. L’abitudine presa d’operar il bene, anzichè scemare il pregio dell’umana ragione, è farmaco efficacissimo a quella parte di naturale nequizia, ch’è propria pur troppo di tutti gli uomini. Egli è pur vero che il bello ed il buono si danno mano! Il bello delle arti è rappresentazione della bontà che deve avere la propria sede nel cuore; e quindi verissima in questo senso la sentenza di chi disse, anche negli autori aversi a