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tentato più d’una volta di conchiudere che i facitori di essi, presso a poco come i manipolatori degli antichi oracoli, si studiassero di adoperare frasi ambigue perciò appunto che ognuno vi trovasse il suo conto, e quindi il numero de’ proseliti fosse maggiore.

Tutto questo preambolo per togliere da me la taccia di stravagante nella nuova spiegazione che intendo di dare al noto proverbio: Mal no far e paura no aver. Chi, non avendo letto queste mie righe, mi udisse citare il proverbio anzidetto alla mia foggia, avrebbe forse ragione di credermi trasognato. Qual delle due che sia la vera interpretazione, lascio a chiunque voglia l’arbitrio di giudicare: a me basta che si conceda potersi comodamente intendere in due maniere questo che pur sembra di senso pianissimo e fuori di qualsisia controversia.

Quali sono adunque i due significati? Ecco qui. Prima il comune, espresso da Dante nella nota terzina, parlando della coscienza, da lui chiamata

          La buona compagnia che l’uom francheggia
          Sotto l’usbergo del sentirsi puro.

Chi dunque fa il bene se ne può andare securo pe’ fatti suoi. Ciò posto il non aver paura è condizione conseguente al non far male, e quasi premio di esso. Secondo la mia interpretazione all’incontro, il non aver paura facendo il bene è