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è quella per cui taluno fa dono di ciò che gli sovrabbonda, o di quello che per procacciare alcun diletto a sé stesso chiama altri a venirne a parte.

Sarebbe pur questa la regola da tenere nei benefizii! Se noi siamo ciechi, e perchè vorremo, potendo, torre agli altri le vie di godere della propria vista? Perchè anzi, quanto è da noi, non ci studieremo di loro agevolarla? Questa, si dirà, è generosità troppo squisita, e l’uomo è portato a voler sempre ritrarre da quanto dona un qualche profitto. Sia pure. Ma, e il diletto che altri prova per cagion nostra, non si rifonderà in noi a renderci più consolata la vita? Ci farà sentire, risponde forse taluno, più profondamente la nostra disgrazia. Forse a principio, e per chi non abbia l’anima contemperata a gentilezza; ma in seguito, o quando avremo nobilitata la nostra natura, deve accadere anzi il contrario. Leggo che il vedere continuamente ciere sane e gioconde contribuisca a diradare i vapori dell’ipocondria; e il trarci vicino chi rimanga contentato in qualche suo desiderio non dovrà cagionare nessuno buono effetto nell’anima nostra?

Io non so che cosa potrà sembrare ai lettori di questo discorso: certo è che, dopo fatte queste riflessioni, al rivedere di quella specola, anzichè farmi beffe, mi sento preso di affettuosa venerazione pel cieco, e avrei voluto conoscerlo di persona, se non mi fosse stato detto esser e-